Ragazzi di vita

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  • Crediti:

    di Pier Paolo Pasolini
    drammaturgia Emanuele Trevi

    con Lino Guanciale
    e con Sonia BarbadoroGiampiero CicciòVerdiana Costanzo, Roberta CrivelliFlavio FrancucciFrancesco GiordanoLorenzo GrilliMichele LisiPietro MasottiPaolo MinnielliAlberto OnofriettiLorenzo ParrottoSilvia PernarellaElena Polic GrecoFrancesco SantagadaStefano ScialangaJosafat VagniAndrea Volpetti

    scene Marco Rossi
    costumi Gianluca Sbicca
    luci Luigi Biondi
    canto Francesca della Monica
    video Luca Brinchi, Daniele Spanò

    regia Massimo Popolizio

    produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale

  • Durata Spettacolo: 1h e 45min.

È su una scena nuda e scarna che Massimo Popolizio fa muovere i 19 ragazzi di vita pasoliniani, riuscendo a dare forma e voce al mondo intricato e contraddittorio, crudo e dolce, disumano e solidale delle borgate romane. Il Riccetto, Agnolo, il Begalone, Alvaro e ancora il Caciotta, Spudorato, Amerigo, sono alcuni dei “ragazzi di vita”, dalla vitalità disperata e ritratta in presa diretta nel romanzo che esplode sul palcoscenico per rappresentare la nuda povertà delle borgate romane con la loro dolcezza furiosa, la loro impulsiva esplorazione del mondo. Un brulichio di voci e corpi che parlano in romanesco e trascorrono le loro giornate alla ricerca di qualche lira e nuovi passatempi. «I “ragazzi” di cui parla Pasolini – afferma Emanuele Trevi – sono persone che lottano con la quotidianità. Una vitalità infelice, la loro, e la cosa più commovente in quest’opera è proprio la mancanza di felicità. I “ragazzi di vita”, più in generale, sono un popolo selvaggio, una squadra, un gruppo, un branco di povere anime perdute». La pièce nasce da un’esigenza di fedeltà sia al testo sia alle acute osservazioni di Pasolini sull’universo del sottoproletariato italiano degli anni ’50. La scena, pertanto, è un turbinio di voci, pose e gesti in cui prevale la parlata romanesca «o meglio – continua Trevi – quella singolare invenzione verbale, di gusto espressionista e non neorealistico, che Pasolini stesso definiva una lingua inventata».

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