Se son fiori moriranno
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Crediti:
Se son fiori moriranno
testo e regia Rosario Palazzolocon Simona Malato, Chiara Peritore, Delia Calò
e la voce di Delia Calòscene e costumi Mela Dell’Erba
musiche originali Gianluca Misiti
light designer Gabriele Gugliara
aiuto regia Angelo Grasso
direttore di scena Sergio Beghi
coordinatore dei servizi tecnici Giuseppe Baiamonte
macchinisti Giuseppe Macaluso, Gaetano Prestiscene realizzate con la collaborazione degli studenti del Corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Palermo: Salvatore Emanuele, Gaia Giacalone, Simona Saiola, Micol Adelaide Spina
produzione Teatro Biondo Palermo
- Durata Spettacolo: 80 minuti
Se son fiori moriranno è il primo atto di un Dittico del sabotaggio. Per l’autore e regista Rosario Palazzolo, «sabotare la realtà con l’immaginazione è l’unica alternativa che abbiamo, la sola che ci permette di spostare in avanti il limite del precipizio, ridisegnando continuamente il panorama, costruendo immaginari improbabili con una risolutezza manichea, che riesce a trasfigurare la verità». L’immaginazione, secondo Palazzolo, «è una manna, una maledizione, un ordigno e una trappola, è ciò da cui non riusciamo a separarci, ciò che difendiamo con la nostra stessa vita gettando sul piatto pure quello che non abbiamo, purché rallenti l’inesorabilità degli eventi, esponendoci a un’agonia insopportabile, che impariamo a sopportare». Questo spettacolo, dunque, costringerà l’autore «a fare i conti con l’indagine più perniciosa di tutte, quella che può considerarsi una specie di sudario volontario per chiunque abbia la presunzione della creazione, ovvero l’indagine sul concetto di immaginazione».
Al centro di questa insolita indagine teatrale, ci sono una madre e una figlia, un’agonia lunga quindici anni, una stanza sprangata, un dolore che sbatte sulle pareti, che rimbalza sui corpi, che si allunga e si allarga continuamente, che si contrae, che prova a far cambiare faccia alla faccia, umore all’umore, trasformandosi in un’alternativa, la migliore di tutte, anzi l’unica possibile. Il pubblico è un comprimario silenzioso, che osserva e giudica, che decide, e che a un certo punto avrà in mano la responsabilità più acuminata di tutte, quella di acchiappare i personaggi e portarli altrove, fosse solo nelle proprie vite.
Con la sua lingua informe, reinventata, ironica e penitente, Palazzolo ha immaginato un meraviglioso affresco tremendo, rocambolesco, un marchingegno irriverente, pirotecnico e divertente, disperato e sfavillante, pieno zeppo di musiche, di peripezie e di colpi di scena.
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